29/06/2022

Iryna:storiadiundottoressacheèstatatestimonedelmassacrodiBucha

Mi chiamo Irina. Sono un medico generico e ho trascorso più di 2 settimane nella cittadina occupata di Bucha. Dato che, in quel periodo, ero l’unico dottore nelle vicinanze, in pratica la mia casa si era trasformata in un ospedale improvvisato.

Il 27 febbraio, l’esercito ucraino riuscì a fermare un convoglio di carri armati russi in via Vokzalna a Bucha, impedendogli così di avvicinarsi a Irpin e poi a Kiev. In pochi giorni, Bucha venne occupata dalla Russia. La gente era nel panico. Molti cercarono di fuggire e vennero colpiti dagli invasori, ai quali non importava che molte macchine esponessero cartelli con la scritta BAMBINI.

Ben presto, la gente scoprì che ero l’unico dottore rimasto e iniziarono a venire da me per i loro problemi di salute. Misi assieme un sacco con dei farmaci di base. Tutto il resto lo passai, tramite i miei amici, all’esercito ucraino credendo che ne avessero più bisogno. Vallo a sapere allora, che pure noi avremmo avuto bisogno di bende, antidolorifici, antibiotici… Quanto ci sbagliavamo!

Solo pochi giorni più tardi, ricevetti una prima telefonata dai miei vicini che avevano due feriti. Un’auto con dei bambini era stata colpita mentre cercava di attraversare un posto di blocco russo per fuggire da Bucha. Erano riusciti a guidare fino alla nostra strada per salvarsi la vita. La donna aveva una pallottola nella caviglia e la figlia nella coscia.

La bambina non riusciva a smettere di piangere e dovetti darle degli antidolorifici e metterle una benda. Ma non avevo un farmaco per bambini, quindi corsi dai vicini cercando di trovare ciò di cui avevo bisogno. Quando tornai, erano già partiti nel tentativo di raggiungere Kiev a piedi. Di ciò che fu di loro in seguito, non so assolutamente nulla…

Un paio di giorni dopo, capitò una donna incinta. Era alla 40a settimana. Durante i miei studi, sognavo di diventare ginecologo, ma non avevo competenze pratiche di sorta. “Qualunque cosa accada, lo faremo nascere”, dissi cercando di trasmettere fiducia.

Alle 4 del mattino dell’8 marzo, le si ruppero le acque. In quel momento, in casa non c’era né elettricità, né gas, né riscaldamento, né acqua. Dovetti fare tutto a lume di candela. Andammo a prendere dell’acqua, ma era fredda e non avevamo i mezzi per scaldarla. La bambina, come se lo sapesse, nacque linda e pulita. Ci limitammo a pulirla un po’ con un asciugamano e poi la fasciammo. La chiamarono Alice.

Il giorno dopo, decidemmo di provare a lasciare la città. Prendemmo una macchina. Io, mio marito, quattro bambini -inclusa la figlia dei vicini- un cane e un gatto. Ci era stato detto di portare nastri bianchi sulle mani ed esporre un cartello BAMBINI sulla macchina. Fu un puro incubo. Tutti quei cadaveri che il mondo avrebbe visto più tardi, in quel momento erano là fuori.

Dovemmo superare diversi posti di blocco russi. Formattammo completamente i nostri smartphone. Se avessero trovato una foto o qualunque altra cosa, ci avrebbero immediatamente sparato. Quei 40 chilometri, che impiegammo 8 ore a percorrere, sembrarono un’eternità. Pregammo tutto il tempo.

Come mi fu detto in seguito, il 13 marzo i russi trasformarono la nostra casa nel loro quartier generale. Che sollievo che fossimo riusciti a partire prima che lo facessero.

Il 31 marzo, i russi si ritirarono e Bucha fu liberata.

Nel giro di pochi giorni, il mondo poté finalmente vedere le atrocità e i crimini di guerra che si erano lasciati alle spalle.

QUESTA È UNA STORIA DI SOPRAVVIVENZA. MA CI SONO MIGLIAIA DI UCRAINI CHE NON SARANNO IN GRADO DI RACCONTARE LE LORO STORIE: I RUSSI LI HANNO UCCISI. DIFFONDI LA VERITÀ. AIUTACI A PORTARE LA RUSSIA DAVANTI ALLA GIUSTIZIA PER I SUOI CRIMINI DI GUERRA.

*Tutte le storie sono reali e sono state tratte da interviste, racconti, registrazioni e blog personali
Puoi trovare la storia originale in ucraino qui.

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